DAT: l’amministratore di sostegno può rifiutare le cure in luogo del paziente amministrato?

DAT e amministrazione di sostegno.

l’amministratore di sostegno può rifiutare le cure in luogo del paziente amministrato?

L’amministratore di sostegno dotato di poteri di rappresentanza esclusiva è il solo legittimato ad esprimere il consenso informato in materia sanitaria in luogo del paziente beneficiario della misura.

Qualora poi non sussista alcun parere contrastante del medico curante, ai sensi dell’art. 3 quinto comma della Legge n. 219/17, l’amministratore di sostegno può rifiutare le cure proposte al paziente amministrato quando, senza che siano state previste DAT, sia stata accertata la volontà presuntiva del medesimo di rifiutare le cure in virtù delle dichiarazioni rese durante la propria vita.

Si tratta di quanto espresso dal Giudice Tutelare del Tribunale di Roma, IX Sezione Civile, con la decisione del 23 settembre 2019.
La vicenda trae origine dall’istanza presentata dall’amministratore di sostegno di una signora in stato vegetativo irreversibile da molti anni, al fine di essere autorizzato a poter rifiutare ed interrompere le cure in luogo della paziente. L’amministratore riferiva che la donna durante la propria esistenza aveva comunicato in più occasioni a lui, ma anche a parenti ed amici più stretti l’avversione a concludere gli ultimi giorni della vita in stato vegetativo e con limitazione della capacità di intendere e volere. Chiedeva, perciò, al Tribunale adìto di accertare e dichiarare l’intenzione della paziente di procedere, previe cure palliative, al distacco dai trattamenti terapeutici così come previsto dalla Legge n. 219/17. Al riguardo giova precisare che proprio l’art. 1, comma 5 della suddetta legge prevede che ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi trattamento sanitario o anche singoli atti del trattamento stesso, a cui non voglia essere sottoposto, nonché di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche se la revoca comporta l’interruzione del trattamento. L’art. 3 disciplina specificamente le ipotesi in cui la persona chiamata a manifestare il consenso informato non sia completamente capace di agire, come un interdetto, inabilitato o minore di età, sottolineando comunque il diritto della persona ad essere informata circa le condizioni della propria salute, così da esprimere un consenso libero e cosciente. La persona inabilitata può manifestare personalmente il consenso informato, ma qualora sia stato nominato un amministratore di sostegno con poteri di rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso viene espresso anche dall’amministratore di sostegno, o soltanto da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere. Se il paziente non rilascia le disposizioni anticipate di trattamento e l’amministratore di sostegno rifiuta le cure proposte, mentre il medico le ritiene necessarie, la decisione deve essere necessariamente rimessa al giudice tutelare.
Nel caso in cui, però, manchi il contrasto tra medico ed amministratore di sostegno richiamato all’art. 3, quinto comma – come nel caso di specie – l’amministratore di sostegno dotato del potere di rappresentanza esclusivo in ambito sanitario deve ritenersi l’unico titolato ad esprimere il consenso informato nell’interesse della paziente beneficiaria. L’assenza di DAT da parte di quest’ultima non preclude, secondo il Tribunale di Roma, una eventuale interruzione del trattamento terapeutico indesiderato, visto che l’amministratore di sostegno è stato in grado di ricostruire in giudizio l’esatta volontà della paziente amministrata, indirizzata al rifiuto dei trattamenti terapeutici secondo quanto espresso durante la sua vita, quando era ancora dotata della capacità di agire e autodeterminarsi. Ne consegue, dunque, che in presenza delle suddette circostanze l’amministratore di sostegno può legittimamente rifiutare le cure proposte in luogo del paziente incapace.

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