Una delle novità più rilevanti della Legge 20 maggio 2016 n. 76 (cosidetta Cirinnà) è l’introduzione nel nostro ordinamento dei “contratti di convivenza”. E’ stata prevista per le coppie di fatto la facoltà di regolamentare di comune accordo gli aspetti patrimoniali del mènage familiare.
Il requisito per la stipula del contratto è che la coppia di fatto abbia provveduto alla registrazione dello stato di stabile convivenza nei registri anagrafici.
Il contenuto è decisamente ampio. I conviventi potranno stabilire la comune residenza, le modalità di contribuzione economica alla vita in comune in relazione alle proprie sostanze e alle capacità lavorative di ciascuno, l’adozione del regime patrimoniale dell’unione tra cui quello della comunione legale.
La novità interessante, che pone in risalto l’autonomia privata, è che con il contratto si possa regolamentare anche la fase patologica di cessazione della convivenza. E’possibile infatti stabilire, con riguardo ai soli interessi meramente patrimoniali, anche una suddivisione del patrimonio comune in modo da evitare successive controversie giudiziarie.
Il contratto deve essere redatto in forma scritta a pena di nullità con atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato. Il professionista che ha ricevuto o redatto l’atto ha l’obbligo di trametterne copia entro dieci giorni al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione nei registri anagrafici; ciò anche ai fini dell’opponibilità ai terzi. Il professionista deve attestare che il contenuto dell’atto non è contrario a norme imperative o all’ordine pubblico.
Il contratto di convivenza si risolve per accordo delle parti, recesso unilaterale, matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona, morte di uno o dei contraenti. Ciascuna causa di risoluzione necessita di adempimenti per i quali occorre rivolgersi al professionista che ha redatto l’atto.
In caso di cessazione della convivenza di fatto (registrata) il Giudice può stabilire il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento per gravi motivi oggettivi.
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