Il caso concreto esaminato dalla Cassazione riguarda il caso di un uomo che, dopo aver rovistato nei sacchetti della spazzatura, li gettava a terra con il chiaro intento di disfarsi di ciò che non gli interessava.
La norma quadro è l’art. 639 c.p.c: “Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili o immobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a centotre euro ).
Se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro. Se il fatto è commesso su cose di interesse storico o artistico, si applica la pena della reclusione da tre mesi a un anno e della multa da 1.000 a 3.000 euro .
Nei casi di recidiva per le ipotesi di cui al secondo comma si applica la pena della reclusione da tre mesi a due anni e della multa fino a 10.000 euro
Nei casi previsti dal secondo comma si procede d’ufficio”.
Per la Cassazione, affinché si configuri il reato di imbrattamento, non rileva né l’assenza dell’intenzione di sporcare, né l’episodicità della condotta. L’imbrattamento è insito nel comportamento di chi, dopo aver rovistato nei cassonetti, ispezionato le buste e prelevato dalle stesse solo ciò che interessa abbandona il resto su suolo pubblico o privato. L’abbandono diffuso e sistematico dei rifiuti che non rivestono interesse per chi rovista nei cassonetti è socialmente dannosa e come tale sanzionabile penalmente.
La Cassazione con la sentenza n. 29018/2018 precisa che l’elemento intenzionale della norma è il dolo generico ed è indifferente per l’esistenza del reato il fine per cui il soggetto agisce, occorrendo soltanto che questi si sia rappresentato l’evento dannoso ed abbia agito di conseguenza. Non è neppure invocabile l’esimente della sporadicità della condotta integrando per sé solo la soglia di punibilità il semplice gettare a terra rifiuti.
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