Tagliare la luce all’ex moglie che non fa la voltura è reato

Se all’ex coniuge viene assegnata la casa familiare, ma non fa la voltura, il marito non può staccare la corrente solo per non pagare più le bollette. Per la Cassazione è integrato il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

La sentenza penale n. 13407/2019 della Cassazione conferma la condanna a un ex marito per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone. L’uomo, visto che la casa familiare era stata assegnata all’ex moglie in sede di separazione e che la stessa non aveva ancora provveduto a effettuare la voltura, staccava la corrente, poiché non era più obbligato a pagare le utenze.

La Corte di appello di Perugia conferma la sentenza del Tribunale di Terni, che ha condannato l’imputato per il reato di cui all’art. 393 cod. pen. per aver interrotto “con violenza l’erogazione dell’energia elettrica e del gas nell’appartamento ove vivevano la ex moglie e i figli, aveva costretto questi ultimi a stare nell’abitazione senza poter usufruire dei suddetti servizi.

L’imputato, dopo aver intimato diverse volte all’ex moglie (a cui era stata assegnata in sede di separazione l’ abitazione familiare) di effettuare la voltura delle utenze di fornitura, aveva provveduto in prima persona al distacco. Il giudice di primo grado aveva qualificato la condotta dell’uomo come “Esercizio arbitrario della proprie ragioni con violenza alle persone” ai sensi dell’art 393 cp, in quanto “l’imputato aveva agito arbitrariamente per esercitare un diritto (le utenze erano intestate ad una società della quale era amministratore e in sede di separazione le spese in questione dell’abitazione erano state accollate alla ex moglie).” Ricorre in Cassazione l’imputato, affidandosi a diversi motivi.

La Cassazione però con la sentenza n. 13407/2019 dichiara il ricorso inammissibile. L’imputato ha ritenuto erroneamente che costituisse elemento a sua discolpa il fatto che, dopo l’assegnazione della casa alla moglie, non fosse più obbligato a pagare le utenze. Per questo aveva provveduto all’interruzione dell’energia. Egli voleva rimediare all’inerzia della moglie che, nonostante i suoi solleciti, non aveva provveduto alla voltura delle utenze. In sostanza, la sua condotta era stata attuata nella convinzione di tutelare un suo preteso diritto.

Condotta che, come affermato correttamente dal Tribunale, integra la fattispecie di esercizio arbitrario del diritto, ai sensi dell'art. 393 cod. pen. Per questo le critiche sollevate sulla configurabilità di tale reato sono infondate.
"Va rammentato infatti che la esigenza della tutela del diritto costituisce il nucleo del suddetto reato e che, pertanto, in relazione ad esso non è applicabile la scriminante dell'esercizio del diritto (per tutte, Sez. 6, n. 25262 del 21/02/2017, S, Rv. 270484), ben potendo l'esercizio di un diritto cosiddetto "contestabile" avvenire ricorrendo all'intervento dirimente del giudice, non essendo consentito legittimare l'autosoddisfazione per il superamento degli ostacoli che si frappongono al concreto esercizio del diritto. Si ritiene invero legittima la violenza sulle cose solo quando sia esercitata al fine di difendere il diritto di possesso in presenza di un atto di turbativa nel godimento della "res", sempre che l'azione reattiva avvenga nell'immediatezza di quella lesiva del diritto, non si tratti di compossesso e sia impossibile il ricorso immediato al giudice, sussistendo la necessità impellente di ripristinare il possesso perduto o il pacifico esercizio del diritto di godimento del bene (tra tante, Sez. 5, n. 23923 del 16/05/2014). Situazione questa non ricorrente nel caso in esame."

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